Povertà, giustizia sociale, democrazia

sabato 17 settembre 2016
16:30
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Povertà, giustizia sociale, democrazia

Chiara Saraceno

Già professore ordinario di sociologia della famiglia presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università di Torino, honorary fellow presso il Collegio Carlo Alberto di Torino, editorialista de La Repubblica. E’ stata presidente della Commissione di indagine sull’esclusione sociale dal 1999 al 2001.

Introduce Davide Maggi, professore di Economia aziendale presso l’Università “Amedeo Avogadro” di novara e vicepresidente della Fondazione Comunità novarese onlus.

 

… le conseguenze della povertà possono riguardare pure dimensioni non materiali dell’esistenza, quali l’accesso alla formazione, la possibilità di scegliere l’occupazione più confacente alle proprie competenze… senza dover accettare qualsiasi lavoro, anche squalificante e a qualsiasi condizione. L’esperienza della povertà materiale può … impedire tout court di partecipare alla vita sociale o politica perché non se ne hanno le risorse materiali e/o culturali… È per queste possibili conseguenze sugli aspetti non strettamente materiali dell’esistenza che la povertà costituisce non solo un problema morale, e neppure solo di equità o giustizia sociale, ma anche un problema di democrazia.

Chiara Saraceno

ARTICOLI

Contro la povertà si recita ancora a soggetto

Il Consiglio dei ministri ha varato il piano nazionale di contrasto alla povertà. Ma forse è presto per dire che finalmente anche l’Italia si è data una misura strutturale di sostegno al reddito dei più poveri. Perché le risorse sono troppo esigue e a beneficiarne saranno ben poche famiglie.

Poche risorse per essere una buona notizia
Sembra una buona notizia. Il Consiglio dei ministri ha varato il piano nazionale di contrasto alla povertà, mettendo a regime un provvedimento di sostegno al reddito integrato da misure di attivazione. L’Italia sembrerebbe finalmente entrata nel novero dei paesi civili che offrono ai propri cittadini una rete di protezione di ultima istanza. Peccato che si tratti di una rete piccolissima, sia in termini di copertura, sia in termini di capacità di sostegno.
Gli 800 milioni di euro stanziati per il 2016, per altro suddivisi in due diverse misure (assegno di disoccupazione – Asdi; e sostegno per l’inclusione attiva – Sia) che fanno riferimento a criteri diversi per individuare i potenziali beneficiari, sono solo una piccola frazione dei 7 miliardi circa che le stime più conservative valutano necessari per venire incontro alle famiglie e agli individui in povertà assoluta. E infatti il governo pensa di poter dare un sussidio solo a 280mila di quel 1.470.000 famiglie stimate essere in povertà assoluta. Ovvero ne beneficeranno un milione circa di persone (la metà dei quali minori) rispetto ai quattro milioni di poveri assoluti, di cui un milione di minori. Nonostante la platea dei potenziali beneficiari sia costituita da famiglie con almeno un figlio minore – sono escluse quindi le famiglie di soli adulti -, circa la metà dei minori in povertà assoluta non riceverà nessun sostegno dalla misura.

Chiara Saraceno
La voce.info, 2 febbraio 2016

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Le disuguaglianze della salute

Gli italiani sono stati considerati a lungo consumatori compulsivi di medicine ed esami medici. Ora il quadro sembra rovesciato. Stretti tra lunghe liste d’attesa e crescente riluttanza dei medici di base a prescrivere esami clinici per timore di essere sanzionati, sempre più italiani rinunciano a farsi curare e a mettere in atto misure di prevenzione. Un rapporto Istat di settembre 2015, “Le dimensioni della salute in Italia”, segnalava che il nove per cento della popolazione aveva rinunciato nell’anno precedente ad almeno una prestazione sanitaria tra visite specialistiche, accertamenti o interventi chirurgici, pur ritenendo di averne bisogno. Il fenomeno riguardava, ovviamente, i meno abbienti e più al Sud e Isole (in particolare la Sardegna), dove vi è una maggiore concentrazione di povertà e una minore efficienza media del servizio sanitario pubblico.

Chiara Saraceno
La Repubblica, 9 giugno 2016
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Se il lavoro non basta 

Chi trova una occupazione non è sicuro di uscire dalla povertà, condizione che dipende anche da altre variabili, da quelle familiari al sistema di welfare

Non basta avere un lavoro per uscire dal rischio povertà. “Perché -spiega la sociologa Chiara Saraceno- un reddito solo in famiglia può non bastare, soprattutto in assenza di trasferimenti, in particolare per il costo dei figli. Le famiglie monoreddito sono più vulnerabili alla povertà, e sono fortemente concentrate nei ceti più modesti e nelle regioni più povere. D’altra parte, l’aumento dell’occupazione, anche quando c’è o ci sarà, oggi non comporta necessariamente un aumento degli occupati nelle famiglie che ne avrebbero più bisogno”. È una delle tesi alla base del suo ultimo libro, “Il lavoro non basta” edito da Feltrinelli, con cui Chiara Saraceno scardina alcuni luoghi comuni sulla società e ricostruisce un quadro aggiornato sulla povertà in Italia e in Europa.

Professoressa, cosa significa che il lavoro non basta?
Le faccio un esempio: negli anni pre-crisi stava aumentando l’occupazione femminile. Ma chi sono le donne occupate? Quelle ad alta istruzione, che normalmente mettono su famiglia con uomini di pari istruzione. L’aumento dell’occupazione femminile, così, privilegia le famiglie a doppio reddito a livelli alti e non a livelli bassi. Abbiamo una polarizzazione fra le famiglie ‘ricche di lavoro’ a livelli medio alti e ‘povere di lavoro’ a livelli bassi.

Chiara Saraceno
Altraeconomia, 20 agosto 2015

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BIBLIOGRAFIA

il lavoro non bastaIl lavoro non basta
Feltrinelli 2015

Già prima della crisi avere un’occupazione non aveva sempre garantito dalla povertà, soprattutto a livello familiare, sia perché sono aumentati i cosiddetti “cattivi lavori”, sia perché non sempre un reddito da lavoro in sé adeguato, ma modesto, è sufficiente a mantenere una famiglia. Accanto al reddito da lavoro individuale, fanno la differenza il numero dei percettori di reddito in una famiglia, la sua ampiezza, l’esistenza e la generosità dei trasferimenti sociali. Mentre l’aumento dell’occupazione continua a essere proposto come l’unica via d’uscita dalla povertà, le politiche dell’austerity hanno causato una riduzione dei trasferimenti, in particolare nei confronti della popolazione in età da lavoro. Se questo succede anche in altri paesi europei, in Italia presenta caratteristiche particolarmente gravi, non solo per i livelli di disoccupazione, ma anche per l’ancora troppo basso tasso di occupazione femminile (che determina l’elevata incidenza di famiglie monoreddito) e la debolezza storica del welfare che si è ulteriormente indebolito e frammentato a seguito della crisi. Sono questi i temi affrontati nel volume, rispetto all’Ue e rispetto alla specifica situazione italiana, sulla scorta dei dati empirici più recenti. Un approfondimento particolare è dedicato a due temi spesso marginali nel dibattito italiano e tuttavia molto importanti per la tenuta di una società e tra loro collegati: la povertà dei minori e la povertà delle famiglie di lavoratori.

sociologia della famigliaSociologia della famiglia
Il Mulino, 2013, 3a edizione

Il manuale fornisce gli strumenti per comprendere le trasformazioni della famiglia in Europa, in Occidente e in altre società; i rapporti tra i sessi e le generazioni; i modi in cui la famiglia è stata definita e regolata in passato e nell’epoca contemporanea; le forme di interdipendenza tra organizzazione familiare, sistemi economici, mercato del lavoro, modelli di welfare.

 

 

stranieri-disugualiStranieri e disuguali
Le disuguaglianze nei diritti e nelle condizioni di vita degli immigrati
a cura di Chiara Saraceno, Nicola Sartor, Giuseppe Sciortino | Il Mulino, 2013

Esistono disuguaglianze pervasive e sistematiche tra la popolazione straniera e quella italiana in tutti i settori: il reddito da lavoro e la collocazione nel mercato del lavoro, l’esposizione al rischio di povertà, le condizioni abitative, la formazione scolastica e la prevenzione nella salute. I saggi in questo volume mostrano che esse derivano in larga parte dal modo in cui una domanda di lavoro a bassa qualificazione seleziona le caratteristiche degli immigrati che vanno così ad ingrossare il segmento più vulnerabile della popolazione. Ciononostante, soprattutto nella prima generazione, essi contribuiscono al bilancio pubblico più di quanto ricevano sotto forma di trasferimenti e servizi.

i nuovi poveriI nuovi poveri: politiche per le disuguaglianze
Pierluigi Dovis, Chiara Saraceno | I libri di Biennale democrazia, 2011

Le politiche di divaricazione sociale degli ultimi anni e la recente crisi finanziaria hanno portato alla povertà fasce di popolazione fino a ieri abituate a una vita dignitosa. Sono i cosiddetti “nuovi poveri”, persone che testimoniano l’esistenza di un’ampia zona grigia dove la mancanza di denaro significa anche insicurezza, precarietà e fragilità relazionale. Pierluigi Dovis, direttore della Caritas di Torino, ci regala la testimonianza di chi ogni giorno lavora a contatto con le forme, vecchie e nuove, di disagio. Il saggio di Chiara Saraceno allarga invece la prospettiva a livello nazionale ed europeo. Insieme, gli autori conducono il lettore in un viaggio attraverso una povertà invisibile, che investe famiglie e giovani che incontriamo ogni giorno, senza riconoscerli, per le strade del nostro quartiere o per le scale del condominio; una povertà che porta con sé nuovi pericoli, l’esclusione sociale e la rottura del principio di cittadinanza democratica.

il welfareIl welfare. Modelli e dilemmi della cittadinanza sociale
Il Mulino, 2013

Un lusso che non possiamo più permetterci, per alcuni. Un pilastro a tutela dei diritti e dell’accesso ai beni comuni, per altri. I welfare state sono esperienze squisitamente nazionali, esposti alle sfide della crisi e della globalizzazione, ma anche delle trasformazioni demografiche e culturali. Questo libro ci spiega come sono nati e come si sono sviluppati, dando forma a modelli diversi di cittadinanza. L’accesso ad un reddito minimo, all’assistenza sanitaria e alla pensione, la protezione dalla disoccupazione, l’organizzazione del sistema scolastico e dei servizi per l’infanzia, le politiche di conciliazione famiglia-lavoro definiscono infatti sistemi di diritti e di risorse fortemente differenziati anche all’interno del contesto europeo.