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17
Set

Il rispetto della dignità umana nel fine vita: una riflessione di Giannino Piana

Piana, Dell'ultimo orizzonteL’edizione 2024 del Festival della Dignità Umana dal titolo “Etica per il mondo che verrà” è dedicata alla memoria di Giannino Piana, teologo italiano e fondatore del festival che ha dedicato ampie riflessioni sul tema della dignità. Il suo ultimo libro, pubblicato postumo da Interlinea, L’ultimo orizzonte. Questioni etiche di fine vita (Interlinea) si interroga sulle questioni connesse a fine vita, eutanasia e suicidio assistito partendo dai casi di cronaca come quelli di dj Fabo, Eluana Englaro e Piergiorgio Welby.
Come una guida-manifesto, il libro propone soluzioni etiche adeguate e praticabili, delineando un nuovo progetto umanistico, che non rifiuti le opportunità offerte dallo sviluppo scientifico-tecnologico e si apra nello stesso tempo a un orizzonte di valori più ampio, che garantisca una vera promozione umana, personale e collettiva.

La capacità di integrare in sé un elemento drammatico come quello della morte è possibile solo con il rispetto della dignità umana, tema su cui Piana si sofferma nel libro e di cui presentiamo un estratto:

L’antropologia personalista protegge e promuove la dignità umana, impedendo la reificazione dell’uomo e della vita, inserendola nel quadro di un sistema di relazioni. Si tratta perciò di fare spazio a un approccio sistemico e multidimensionale, che metta tra loro in relazione il bios, il logos e l’ethos; in altri termini, si tratta di sviluppare una normatività del senso, che offra un solido e autorevole supporto a una visione dell’uomo e del mondo e che dia contenuto operativo a tale visione.

Il concetto di “morte dignitosa”

Il rispetto della dignità umana, che – come si è detto – si estende a tutte le fasi della vita e che non può venir meno anche in situazioni difficili come quelle terminali, deve tradursi nel fare esperienza del morire in modo umano; nell’affrontare cioè, per quanto è possibile, serenamente e lucidamente la morte; nell’andare, in altri termini, incontro a una “morte dignitosa”. Questo significa che ogni paziente, qualunque sia la sua condizione clinica, esige di essere curato (nel senso di “essere preso in cura”) anche nell’approssimarsi della morte, fruendo dei presidi a disposizione proporzionati all’entità della situazione. Se infatti la morte è parte integrante della vita, anzi rappresenta il punto di arrivo della parabola della vita, e dunque il momento più alto della sua espressione, è importante restituirle pienezza di significato, evitando tutto ciò che impedisce alla persona umana di essere sé stessa e di impegnarsi ad approfondire la sua ricerca di senso.

Sulla dignità umana si fonda il diritto di ciascun individuo, a prescindere dalle sue condizioni contingenti, ad essere protetto da qualsiasi forma di distruzione, di violazione e di assoluta strumentalizzazione. Su di essa si fonda anche il dovere di prendersi cura di coloro che soffrono […].

Il perseguimento di questo obiettivo implica anzitutto il rifiuto di quelle iniziative clinico-assistenziali che mirano a rallentare, a ogni costo e in ogni modo, l’avvicinamento della morte, pur sapendo che non si è più in grado di disporre di terapie capaci di migliorare le condizioni di salute o di bloccare il male. Ma comporta, in senso più generale, il rispetto di una certa “naturalità” del morire in quanto evento particolarmente significativo per l’esperienza dell’uomo. Il fatto che oggi si disponga di mezzi sempre più sofisticati (e pervasivi) che consentono il prolungamento artificiale della vita oltre ogni misura – come già si è più volte ricordato – rende attuale questo richiamo: ne va infatti della qualità della vita personale e, più radicalmente, del rispetto della dignità umana. La persona ha diritto di essere considerata non solo come corpo (oggetto fisico) da sottoporre a un anonimo trattamento pur di sopravvivere biologicamente, ma di essere trattata come soggetto lungo tutto il corso della sua esistenza, soprattutto nelle fasi più drammatiche, quelle della malattia terminale e della morte.
La lotta contro la sofferenza “inutile”, che si provoca quando si insiste a somministrare cure sproporzionate, non è solo un problema clinico; è anche (e soprattutto) una importante questione etica, un vero obbligo morale, in quanto chiama in causa il principio di responsabilità di chi dovrebbe essere al servizio del paziente rispettando il normale decorso della malattia e predisponendo forme di accompagnamento alla morte, che rendano meno insopportabile un evento già di per sé drammatico. L’aiuto fornito al paziente per affrontare tale evento nel modo meno traumatico possibile comporta che vengano conciliati i limiti della vita biologica con la qualità della vita personale, salvaguardando in tal modo la possibilità di andare incontro a una “morte dignitosa”.